Area:Cyberpunk (CYBER_PUNK) From:Gomma (65:1200/1.2@ECN) To :All (45:1917/2.4@ECN) Subj:Articolo Cerchio Q. Date:11 Jul 94 00:04:00 Stat:Sent MSGID: 65:1200/1.2@CyberNet 5f97ff49 PID: FM 2.02 Hi tutti!. dom. 10/7 e' uscito l'inserto "Il cerchio quadrato" de "il manifesto" tutto sulla telematica e problemi affini dal titolo "Buio Digitale". Tra gli altri contributi di S. Rodota', B. Vecchi, F. Carlini, M. Fioroni, A. Berretti, T. De Santis, P. butturini, V. Roidi, M. Mezza e me stesso. Questo il testo originale del mio articolo, che sul giornale e' stato un po' tagliato. In questi giorni inseriro' via via gli altri articoli. ___________________________________________________________________________ Byte avvelenati (per il risveglio di una coscienza collettiva non-virtuale) Le recenti vicende giudiziarie riguardanti la scena della telematica italiana, sono state un banco di prova e un test significativo per verificare quanto certi principi di democrazia "moderna" siano stati recepiti dalla gente e dalle istituzioni. Con rammarico, ma al contempo con una forte dose di realismo, si deve prendere atto di una serie di vere e proprie miserie culturali, politiche ed etiche che sono state il contorno di una situazione gia' molto triste di per se'. Il quadro e' sconfortante, vediamo dunque di analizzarlo con crudezza: 1) Il set di leggi riguardanti la duplicazione abusiva del software e i cosiddetti computer crime, e' totalmente a favore dei padroni dell'informazione digitale. Il suo iter parlamentare, per quanto consta a chi scrive, e' passato totalmente sotto silenzio. Nessuna "opposizione" si e' fatta sentire e, probabilmente, nemmeno si e' accorta della gravita' delle norme che stavano per essere approvate. A nessuno e' venuto in mente di contestare, ad esempio, la legittimita' di un obbrobrio giuridico che viene difeso dalle sanzioni penali che puniscono la "duplicazione": la cosiddetta "licenza d'uso". Questa stabilisce che chi compra un programma, in realta', ne acquista solo il permesso di poterlo "usare", in quanto la proprieta' esclusiva rimane del titolare dei diritti (ossia la ditta che lo mette in commercio). In pratica, dunque, cio' di cui noi a caro prezzo veniamo in possesso e' esclusivamente la possibilita' di installare del software su una sola macchina. Ci e' vietato poterlo modificare se non ci piace, venderlo a qualcun altro se non lo usiamo piu', prestarlo o affittarlo senza l'assenso del detentore del copyright. Se sgarriamo, non solo la licenza d'uso ci puo' essere tolta, ma il nostro comportamento diventa penalmente perseguibile. Inoltre, spesso, il modo in cui stipuliamo l'accordo di base e' la formula del "contratto a strappo". "Strappando" la busta in cui i dischetti sono contenuti si viene informati, dalle solerti software-house, di accettare tutte le clausole scritte unilateralmente (da loro) sulla busta stessa. Tale formula, di cui non si conosce la reale rilevanza giuridica, suona in ogni caso per lo sprovveduto acquirente come una sorta di monito intimidatorio e, incredibilmente, nonostante questo modo di porsi nei confronti del cliente sia tipico delle famigerate aste televisive, nessuno vi si e' mai opposto con fermezza. 2) Nessuno storico democratico dell'economia, nessun difensore "istituzionale" dei principi etici si e' finora soffermato a riflettere sulle relazioni che esistono tra "merci" informatiche o digitali e problema dell'accesso ai saperi. Nessuno ha considerato il fatto che il software non debba essere considerato come un prodotto esclusivamente nato per fini di mercato, gestito in regime di monopolio e a disposizione esclusiva del maggior offerente ma, al contrario, uno strumento di utilita' sociale indispensabile per l'accrescimento culturale, il miglioramento della qualita' del lavoro e dell'educazione. Questa assenza di critica non fa altro che aumentare le possibilita' di espansione del potere e del controllo di pochi sull'informazione, la comunicazione e, in definitiva, sul mantenimento di larghe fasce di popolazione in una condizione di ignoranza che si ampliera' nel tempo con conseguenze devastanti. Basti, anche in questo caso, citare un solo esempio: nel 1993 la Business Software Alliance, l'associazione che difende gli interessi delle compagnie produttrici di programmi, lanciava, senza intralci, una campagna di invito alla "delazione quasi-anonima" diffusa attraverso i maggiori quotidiani economici nazionali. Veniva infatti messo a disposizione un coupon, da inviare per posta, per segnalare nominativi di persone o societa' che copiavano o solamente utilizzavano software copiato. Il motto di tale campagna era "Chi copia software sottrae risorse alla ricerca e danneggia anche te", come se la responsabilita' della scarsita' di fondi per la sperimentazione dipendesse dai consumatori. 3) Gli effetti di tale condizione d'ignoranza si sono potuti verificare con mano, in relazione alla scarsita' di reazioni che si sono rilevate non solo all'esterno, ma soprattutto all'interno della cosiddetta "comunita' telematica" che e' stata direttamente colpita dalle nuove leggi. Non esiste al momento alcun segnale di presa di coscienza netta dei propri diritti riguardanti l'accesso alla comunicazione digitale. L'ideologia, in questa caso assolutamente intesa come "falsa coscienza", imposta con un intervento concussivo per dieci anni dalle multimiliardarie "software-house", regna sovrana: si e' fatto passare il luogo comune che il "mercato" viene al primo posto e il soggetto viene per ultimo. Le stesse vittime della legge, spesso innocenti, ormai senza alcun punto di riferimento politico e culturale, pateticamente chiedono ancora piu' legge e ancora piu' ordine, convinte che queste siano le soluzioni per togliersi dai guai. In conclusione non resta da affermare che il lavoro da compiere e' di grandi proporzioni e riguarda tutti i soggetti che ritengono che l'informazione, la conoscenza e la lotta contro l'ignoranza siano battaglie fondamentali da combattere. Servono interlocutori politici che sottraggano il predominio della rappresentanza alle lobby mercantili. Servono atti concreti che aiutino a diffondere quei valori culturali relativi a una presa di coscienza sui propri diritti nell'"info-sfera" da parte della comunita' telematica. Serve una mentalita' "moderna" d'azione politica, non asservita alle logiche del mercato ma rivolta a migliorare le condizioni di vita dei soggetti. Serve la nascita di un concetto, nuovo per il cyberspazio, come la solidarieta', che non si e' espressa assolutamente nei confronti dei 150 gestori di banche dati amatoriali accusati di reati gravissimi, lasciati soli dalla sinistra istituzionale e, purtroppo, anche dall'estrema sinistra non istituzionale. Serve infine supportare le rare iniziative di carattere legislativo o culturale che in questa nazione vengono organizzate da "informatici per la democrazia", "cyberpunk" e da altri strani personaggi che pensano che l'informazione e l'accesso a questa sia un bene comune e un diritto fondamentale dell'uomo. --------------------------------------------------------------------------- --- PointMail 2.1Demo * Origin: Decoder BBS: Info as Energy - 02-29527597 (65:1200/1.2) SEEN-BY: 1/1 4/1 5/1 9/1 10/2 30/1 999/999 1000/1 2 4 1100/1 1200/1 2 SEEN-BY: 1200/5 6 1400/1 1500/1 1600/1 1800/1 1900/1 1917/1 2 3 11 2000/1 PATH: 1200/1 9/1 1917/1 2 Area:Cyberpunk (CYBER_PUNK) From:Gomma (65:1200/1.2@ECN) To :All (45:1917/2.4@ECN) Subj:Articolo Rodota' 1 Date:12 Jul 94 20:08:00 Stat:Sent MSGID: 65:1200/1.2@CyberNet 6094102e PID: FM 2.02 Ecco, come promesso, un altro articolo apparso sul supplemento de "il manifesto" di domenica scorsa sulla questione telematica. E' oggi il turno di quello di Stefano Rodota', ex-parlamentare, persona saggia, e membro della Fondazione Basso e di Informatica per la Democrazia. L'articolo e' diviso in due parti: -------------------------------------------------------------------------- CITTADINANZA ELETTRONICA Le parole s'inseguono: videocrazia, sondocrazia... Con il mutare dei termini tuttavia, non si passa da un ordine di problemi all'altro, ma via via si scopre una dimensione nuova e comune, dove la televisione "generalista" diventa soltanto un pezzo di un sistema comune in cui s'insediano con forza crescente i nuovi media e nel quale le modalita' d'uso dell'insieme delle tecnologie disponibili non solo permettono connessioni tra attivita' fino a ieri lontanissime, ma soprattutto connotano in maniera del tutto inedita sfera pubblica e sfera privata. Se si volge lo sguardo a quell'ultimo repertorio di problemi e di opportunita' che e' il documento comunitario su "l'Europa e la societa' dell'informazione globale" (il cosiddetto Rapporto Bangemann), subito si ha la conferma proprio dell'impossibilita' di tener fermi i criteri tradizionali per distinguere il mondo dell'imprenditorialita' e quello della politica. La versatilita' dei nuovi mezzi e la loro pervasivita' sociale sembrano prospettare una versione aggiornata del carattere bifronte delle tecnologie: arricchiranno la sfera pubblica o ne consacreranno il definitivo passaggio nell'ordine delle merci? Ma, nel cercare una risposta a questo interrogativo, sarebbe vano e sbagliato muoversi secondo la logica delle alternative secche e inconciliabili, mercato o diritti, commodification of pubblic sphere o decollo della democrazia elettronica. LE CHANCE IN CAMPO Qualche anno fa, riflettendo proprio su queste dinamiche, uno studioso del sistema politico americano, Theodore Lowi, aveva detto che "la tecnologia apre le porte, il capitale le chiude" . Nella realta', gli intrecci si sono fatti via via piu' complessi. Vi sono stati casi nei quali effettivamente la pura logica del profitto ha spinto a interrompere esperimenti importanti di comunicazione e di partecipazione dei cittadini, e oggi assistiamo a continui tentativi di cancellare la dimensione civica e volontaria del lavoro avviato con le reti telematiche, che coinvolge ormai milioni di persone. Al tempo stesso, pero', si scorgono possibilita' offerte agli impieghi sociali proprio dal successo commerciale di alcune reti e, soprattutto, la necessaria creazione di reti pubbliche (quelle dell'amministrazione, ad esempio) puo' fornire opportunita' di cui e' urgente valutare la portata e le prospettive nel momento stesso in cui queste reti vengono progettate. Certo, conosciamo le letture radicali vecchie e nuove della ragione tecnica, della sua capacita' di dominio e dell'impossibilita' di farla governare da logiche diverse da quella che essa stessa produce. Ma sarebbe sbagliato chiudersi nella loro definitivita' e nel loro tagliente rigore, senza tentare una verifica continua sulla base delle situazioni che via via si producono, creando cosi' le condizioni che possono consentire almeno politiche di "riduzione del danno". Il punto di partenza, comunque, e' proprio quello di una profonda modifica qualitativa dell'agire politico, non di un arricchirsi delle sue modalita' tecniche. Gia' constatiamo come le forme dell'attivita' politica riescano a sottrarsi ai vincoli dello spazio e del tempo: e' per questa ragione che sulle reti nascono nuovi "soggetti elettronici". La rete si rivela una forma organizzativa che consente un rapporto e una comunicazione stabile tra persone lontane, che possono intervenire nella discussione in momenti diversi La comunicazione orizzontale e paritaria caratterizza questo tipo di organizzazione. Proprio le potenzialita' democratiche di questa dimensione della tecno politica esigono l'introduzione di regole capaci di salvaguardarne le caratteristiche. Questa eventualita' e' considerata con sospetto, o francamente avversata, da quanti pensano che le reti possano rimanere il terreno d'una liberta' illimitata, d'una infinita anarchia. Ma se si insistesse su questa impostazione, sarebbe fatale la delusione nel momento in cui la forza degli interessi economici, giganteschi in questo settore, si fara' sentire e mutera' radicalmente la prospettiva tutta artigianale nella quale finora ci si e' mossi, soprattutto in Italia. Basta riandare alla storia delle radio e delle piccole televisioni private, sopraffatte dalla logica delle grandi organizzazioni, per rendersi conto della urgenza di un intervento legislativo che offra le indispensabili garanzie per un uso democratico delle reti e per la tutela dei diritti di tutti i soggetti che in esse si manifestano (e i pesanti interventi giudiziari e di polizia contro talune reti confermano la necessita' di muoversi in questa direzione, e con urgenza). UN'EMERGENZA DEMOCRATICA Si tratta di un intervento non facile perche' soprattutto in Italia, la questione delle reti e' stata considerata quasi esclusivamente come un affare di politica industriale e commerciale, e non come una dimensione emergente e cruciale dell'organizzazione democratica. Anzi, quest'ultimo aspetto e' stato finora volutamente respinto sullo sfondo proprio per evitare che la disciplina del settore sia influenzata da logiche diverse da quelle puramente mercantili. Dovrebbe essere evidente, invece, che la partita in corso intorno al tema della telematica e' di importanza enormemente superiore a quella della disciplina antitrust nel settore della televisione tradizionale (e' per questa ragione che diventa determinante l'assetto della Stet). E' in gioco la "cittadinanza elettronica", che davvero rappresenta la frontiera piu' impegnativa per la democrazia alla fine del secolo. Quando si parla di autostrade elettroniche, di civic networking, di reti telematiche, il problema centrale e' quello di garantire a tutti i cittadini l'accesso a quest'insieme di tecnologie in condizioni di parita'. Questo vuol dire tariffe bassissime, e forme di accesso gratuito, per l'uso sociale delle reti; e nessuna discriminazione tra i potenziali utenti, per evitare che in questa nuovissima dimensione si riproduca con intensita' maggiore che in passato la distinzione tra abbienti (di risorse finanziarie e culturali) che priverebbe le nuove tecnologie d'ogni capacita' liberatoria e democratica. E' il tema dei servizi "universali" come componente essenziale della cittadinanza familiare alla cultura americana, che approda faticosamente in Europa, che sembra del tutto estraneo alla discussione italiana e che certamente la sgangherata voglia di mercato cerchera' in ogni modo di tenere ai margini. La discussione politica e' appena all'inizio, mentre corrono le iniziative imprenditoriali e si avviano soluzioni organizzative e legislative attente soltanto agli aspetti economici del problema. Si riuscira' a evitare che la cultura dell'inconsapevolezza, o di una ben calcolata ignoranza, produca in questo decisivo settore guasti che moltiplicherebbero per mille quello che e' avvenuto nel mondo della televisione? --- PointMail 2.1Demo * Origin: Decoder BBS: martello pneumatelematico - 02-29527597 (65:1200/1.2) SEEN-BY: 1/1 4/1 5/1 9/1 10/2 30/1 999/999 1000/1 4 1100/1 1200/1 2 5 SEEN-BY: 1200/6 1400/1 1500/1 1600/1 1800/1 1900/1 1917/1 2 3 11 2000/1 PATH: 1200/1 9/1 1917/1 2 Area:Cyberpunk (CYBER_PUNK) From:Gomma (65:1200/1.2@ECN) To :All (45:1917/2.4@ECN) Subj:Articolo Rodota' 2 Date:12 Jul 94 20:10:00 Stat:Sent MSGID: 65:1200/1.2@CyberNet 6094102f PID: FM 2.02 seconda parte articolo Rodota', da suppl. de "il manifesto": ------------------------------------------------------------------------ BANCHE DATI Diritti e interessi, l'Italia senza regole fanalino di coda dei paesi occidentali Molte sono le ragioni per le quali l'Italia e' rimasto l'unico paese dell'Unione europea privo di una legge sulle banche dati e sulla tutela delle informazioni personali, e molti i problemi che nascono da questa grave lacuna. All'origine vi e' il disinteresse di una cultura politica e istituzionale per quello che riguarda lo sviluppo tecnologico e le modalita' di una sua regolazione. Basta ricordare che la Camera dei deputati non ha voluto dotarsi di un'organismo come lo statunitense Office of Technology Assessment, malgrado un voto unanime dei deputati a meta' degli anni '80; che il nostro Parlamento, a differenza di quelli di tutti i paesi industrializzati, non ha mai svolto serie indagini sulle conseguenze politiche, economiche, sociali delle tecnologie informatiche, biologiche, genetiche, che la Commissione parlamentare sui servizi di sicurezza si e' fatta espropriare del potere di controllo della banca dati del ministero dell'interno, previsto dalla legge di riforma della polizia. Tutto questo non e' avvenuto per caso. Forti interessi burocratici, radicati soprattutto nei ministeri dell'Interno e della Giustizia, hanno prima cercato di rinviare l'esame di un disegno di legge in materia e poi, quando l'esame parlamentare e' stato finalmente avviato nel 1993, hanno tentato con ogni mezzo di limitare la portata della nuova disciplina. La pressione degli interessi imprenditoriali, che vogliono mantenere la scandalosa situazione di assenza d'ogni controllo, non e' stata minore: anzi, il blocco del disegno di legge, che stava per essere approvato dal Senato prima dello scioglimento delle Camere, si deve proprio all'ascolto fin troppo attento delle ragioni delle imprese da parte di quasi tutti i gruppi senatoriali (sinistra compresa). E non vanno dimenticati le gelosie e i conflitti di potere, che hanno determinato ad esempio le pretese dell'Autorita dell'informatica (di nomina govemativa) d'essere riconosciuta come organo di garanzia in materia, in palese contrasto con la tendenza ormai generale che vuole questi organi sottratti all'influenza dell'esecutivo. Le conseguenze di questa situazione sono assai gravi. I cittadini italiani son privi di diritti in un settore fondamentale non solo per la difesa della privacy, ma per la salvaguardia di essenziali liberta' civili. Mi limito a ricordare, tanto per segnalare un'abissale distanza, che il Tribunale costituzionale tedesco, nella sentenza sul censimento del 1983, ha affermato il carattere fondamentale del diritto a l'"autodeterminazione informativa". E' probabile che, nell'immediato futuro, rimarranno le difficolta' all'approvazione di una seria legge sulle banche dati. L'attuale maggioranza non mi sembra proprio incline alla creazione di strumenti capaci di dare ai singoli cittadini alle loro associazioni e ad una autori davvero indipendente forti poteri di controllo sui "signori dell'informazione" pubblici e privati. E, soprattutto, si faranno piu' dure le pretese di un mondo imprenditoriale che, in una legge come questa, vede solo vincoli e nuovi costi. Si riuscira' a far capire che vi sono dimensioni che non possono essere sottomesse al logica economica? Le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro costano certo alle imprese: se ne puo' chiede per questo la cancellazione? Quando sono in pericolo diritti fondamentali, con quello alla libera costruzione della sfera privata e alla non discriminazione, chi usa strumenti potenzialmente pericolosi deve sopportare i costi perche' i rischi siano annullati o controllati. --- PointMail 2.1Demo * Origin: Decoder BBS: point-break per surfisti digitali - 02-29527597 (65:1200/1.2) SEEN-BY: 1/1 4/1 5/1 9/1 10/2 30/1 999/999 1000/1 4 1100/1 1200/1 2 5 SEEN-BY: 1200/6 1400/1 1500/1 1600/1 1800/1 1900/1 1917/1 2 3 11 2000/1 PATH: 1200/1 9/1 1917/1 2